In un rapporto che vede inserirsi anche il comune a difesa di questa attività considerata così importante per l’economia del paese, anche con l’imposizione di una serie di vincoli ed obblighi, che risultano però scarsamente rispettati, l’industria delle cave prosegue e si sviluppa, pur nella sua caratteristica “ immobilità”. Nella relazione del 1850 all’inchiesta sullo Stato dell’Industria, si lamenta che benché “ le arti e mestieri hanno progredito in estensione e raffinamento ai loro prodotti”, non si registra in questa attività una parallela evoluzione nelle modalità di lavorazione per “difetto di Direzione e di Lumi scientifici ( sic)”
Cosicché l’escavazione delle miniere si pratica senza nessuna riforma e variazione di quel che si faceva nei secoli passati”. Il medesimo documento fa sapere che le cave di pietra all’epoca sono 44, di cui 10 attive da meno di dieci anni, le altre dai 30 ai 40 anni, che “ impiegano circa 400 addetti per la lavorazione di lastrici, scale, finestre e porte e che 2/3 del pietrame viene spedito a Pisa e Livorno da dove viene mandato all’estero, 1/3 serve per fornire l’interno della Toscana “ (A. C. Lastra a Signa n 209, affare n. 102). Nella risposta alla statistica del 1861 sulle “ Cave, fornaci, e acque minerali”. Promossa, all’indomani dell’Unita d’Italia, dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, si rivelano un totale di 34 cave che occupano 215 addetti (A. C Lastra a Signa., n.220. Affari non registrati)
La disparità del numero degli addetti, a così pochi anni di distanza, è dovuta probabilmente al fatto che la statistica del 1861, registra, più precisamente, i soli “ lavoranti di squadra escavatori”, dipendenti di ciascuna cava, ad esclusione dei saltuari o di quei lavoranti- escavatori, sterratori o minatori- che lavoravano per più proprietari di cave. Si tratta in genere di piccole ditte, con pochi addetti, da un minimo di uno ad un massimo di venti.
Anche questo documento ci permette di conoscere i nomi dei conduttori: Michelagnoli, Tozzi, Ferroni, Zei, Cambi, Cartoni, Settimelli, Berti, Gabellini, Brunelli, Tani, Poggi, Zirconi, Andrei, Frosoni, Belli, Naldi, Bologni, Salvestrini, Allegri, Corti, Pieraccini, Dini, Fusi e Massai, Frangioni, Geri, Degl’Innocenti, Moretti.
Il settore della pietra quindi, vede in questi anni e per tutta la seconda meta dell’800 uno sviluppo legato alla modernizzazione delle infrastrutture (pavimentazione di piazze e strade, incremento dell’edilizia, grandi opere pubbliche, nel periodo di Firenze capitale, arginatura dell’Arno). Alla fine del secolo i produttori di Lastra a Signa, insieme a quelli di Carmignano e Fiesole, tendono a divenire gli interlocutori privilegiati per la realizzazione dei processi di urbanizzazione in gran parte della Toscana.
La crisi economica degli anni dieci del 900, il periodo della guerra, la crisi successiva al conflitto segnano l’inizio di una decadenza, lenta ma inesorabile, legata d’altra parte, ad un sempre maggior impiego di materiali meno “nobili”, ma più economici, come il cemento e il calcestruzzo, ed all’aumento dei costi di trasporto; già dalla fine dell’800 la ferrovia tende a sostituirsi al trasporto fluviale, che, per secoli, aveva costituito il tradizionale, e più economico, mezzo di trasferimento della pietra verso i porti di Pisa e di Livorno (cfr A. C. Lastra a Signa, Lettera del Prefetto, 26 maggio 1893, filza n.58, affare n.1033).
Anche il tradizionale rapporto di lavoro fra i proprietari delle cave e gli scalpellini entra in crisi. Nel 1902 gli scalpellini di Lastra a Signa e Carmignano danno vita ad una “ Lega di Miglioramento fra gli scalpellini” che avanza varie richieste; abolizione del cottimo, giornata di lavoro non superiore alle dieci ore, fissazione delle tariffe di paga oraria, suddivise per classi di lavoratori, pagamento settimanale ed in contanti. Il “fronte“ dei proprietari si divide: alcuni di essi costituiscono una Società Cooperativa fra maestri Scalpellini per “ fare atto di solidarietà con gli operai di cui riconosco in linea generale giuste le domande; per migliorare la condizione materiale e morale dei Soci, la quale è fatta triste dalla concorrenza spietata che i Maestri scalpellini proprietari o affittuari di cave si fanno fra loro, e della quale, più crudi sentono gli effetti i Maestri più umili”.
A conclusione della “ vertenza”, della cui conciliazione si fanno promotori, al fine di evitare scioperi e turbamenti, i sindaci dei tre comuni interessati, vengono accolte solo le richieste della riduzione di orario a dieci ore ed il pagamento settimanale (A.C. Lastra a Signa, Carteggio degli affari, n93, affare 328).
A partire dai primi anni del secolo XX e per tutti gli anni 20, sull’onda del più generale fenomeno migratorio che coinvolge il Paese, gli scalpellini di Brucianesi – la frazione nella quale in gran parte risiedevano gli occupanti del settore – vanno a lavorare, molti stagionalmente, altri per lunghi anni, alcuni in maniera definita, all’estero, in Francia e in Svizzera soprattutto.
Tuttavia ancora per tutti i primi anni del 900 la lavorazione della pietra rimane un settore significativo dell’economia lastrigiana: nel 1911 risultano al censimento industriale 30 cave, si che Lastra è ancora uno dei centri più importanti della provincia di Firenze (terzo dopo Fiesole che ha 62 cave e Carmignano che ne ha 33). In esse si impiegano 250 adulti e 50 fanciulli (cioè in età inferiore ai quindici anni) , il che rappresenta circa il 30% degli scalpellini della provincia ed il 12% degli occupanti dell’industria del comune (cfr. Innocenti, L’industria nell’area fiorentina, pp 46-47).
Già nel 1927 al censimento industriale e commerciale, risultano soltanto 7 ditte nel settore della escavazione e lavorazione di pietrame: alcuni proprietari sono gli ultimi eredi di quelli che abbiamo incontrato nei documenti settecenteschi e ottocenteschi: Fratelli Brunelli, Tozzi, Dante, Naldi e C. Allegranti, Poggi, Frosoni, Geri.
Tuttavia al censimento della popolazione del 1931, nella frazione di Brucianesi, anche se molti hanno trovato occupazione al Dinamitificio Nobel, gli scalpellini, con 59 addetti costituiscono ancora quasi il 24% della popolazione maschile attiva. Al primo censimento del dopoguerra, nel 1951, sono registrate ormai solo cinque ditte: nei primi anni del dopoguerra si ricordano gli ultimi grandi lavori legati alla ricostruzione postbellica, la lastricatura di alcune strade, il restauro di Villa Bellosguardo, gravemente danneggiata dai cannoneggiamenti al passaggio del fronte.
A partire dalla fine degli anni 50, con l’avvento delle nuove tecniche edilizie, l’entrata dei giovani in fabbrica, questo“mestiere che per secoli si è mantenuto immutato, con le sue tecniche ed i suoi arnesi tramandati di padre in figlio, che non ha conosciuto l’impiego di alcuna forza motrice, se non quella delle braccia dell’uomo, entra in una fase di declino inarrestabile, affidato solo alla sopravvivenza degli ultimi scalpellini.