Già nel 1768, rispondendo all’inchiesta granducale sulle manifatture, i rappresentanti della comunità lamentavano, rispetto al passato, una crisi del settore, collegata alla più generale crisi economica del periodo: “Passando ora all’arte degli scalpellini, o sia manifattura di pietre, diciamo che questa ancora nei tempi addietro era feconda di smercio era di lucro considerabile alla Comunità e suoi abitanti. Ed in effetti, molte erano le cave o siano le fabbriche di pietrami nel poggio detto la Gonfolina che in oggi si vedono ridotte a minor numero, quantunque non manchino persone che attendino ad una simile manifattura. Il che dà motivo alla minorazione dei prezzi e quanto allo smercio, che si è ridotto assai minore, può dipendere dalle minori fabbriche che si vanno facendo, tutto effetto di mancanza di denaro nei cittadini” (Relazione dello stato delle arti e manifatture per la comunità della Lastra, in A.S.F. Carte Gianni, n 39 ins. 523/28).
E nella relazione del maire di Lastra a Signa, redatta nel 1810 in epoca napoleonica, si documenta che “ lo scavo della pietra impiega circa trecendo individui”(A.C.Lastra a Signa n.138).
Il contenzioso che si è protratto nei secoli fra l’autorità fiorentina (magistratura dei Fiumi, Prefettura, Genio civile) ed i cavatori della Gonfolina, ha lasciato negli archivi una documentazione dalla quale possiamo attingere numerose informazioni.
Gli scalpellini avevano infatti l’abitudine di gettare sulla strada sottostante e sulle sponde dell’Arno i detriti della lavorazione e ciò arrecava gravi danni provocando un restringimento dell’alveo del fiume, e dalla riapertura della strada Pisana nella seconda metà del XVIII secolo, impedimenti alla viabilità.
Di fronte al bando che nel 1587 proibiva “ far cave alla Gonfolina, essercitar le vecchie o cavar pietre…” riccorsero i Scalpellini di dette cave (…) dicendo che sono in numero di quattrocento che campavano su quel traffico…” ( A.S.F. Miscellanea medicea n 40).
Nel 1763, dopo quindi la riapertura della Regia strada Pisana si riaccendono le preoccupazioni per “ lo strapazzo fin ad ora usato dagli scalpellini che (…) la tengono oltre modo occupata nella sua larghezza da quantità di scaglie, e di pietre alcune lavorate, ed altre tozze, che non impicciano la pianta di esse, in grave pregiudizio del pubblico, ed in specie del carreggio” ( A.S.F. Capitani di parte, numeri neri, 1705).
Nel documento si registrano anche i nomi dei conduttori di cave del Masso delle Fate, nomi che poi, in qualche caso, a testimonianza di una continuità che si tramanda di padre in figlio, ritroviamo nel passare degli anni: Antonio Nenciolini, Giuseppe Settimelli, Valentino Settimelli, Valentino Carboni, Giuseppe Gabellino, Ferdinando Ferroni, Antonio Sarti, Ranieri Brunelli, Pietro Belli, Tommaso Settimelli, Filippo Cartoni, Antonio Mazzantini, Giuseppe e Carlo Bricoli, Franco Migliori.